L'SOLA CHE NON C'ERA F. Paracchini
Un lavoro ormai uscito da qualche mese, ma che merita di non passare nel dimenticatoio. “L’avamposto” più che un semplice libro è un progetto, che comprende anche un disco con 10 brani inediti scritto - e cantato - dal cantautore umbro Paolo Brancaleoni. Lo abbiamo incontrato e ci siamo fatti raccontare qualcosa in più….
Cominciamo dal titolo, “L’avamposto”: è un segno di speranza, un punto fermo da cui guardare meglio il presente e impostare il futuro o l’hai scelto per qualche altro motivo?
Questo lavoro non è nato da un semplice atto creativo ma da un’urgenza che è stata quella di non restare passivi davanti alla situazione drammatica che stiamo vivendo su tutti i fronti. Un artista credo abbia il dovere e il diritto di esprimere il suo punto di vista su quello che ci sta accadendo intorno, trovando le parole giuste per dar voce a chi non ce l’ha o a chi non trova il giusto modo per poter esprimere certe cose. Infatti mi hanno scritto diverse persone ringraziandomi per aver espresso in musica e parole i loro pensieri e per aver cercato di difendere quei pochi valori e diritti che ci rimangono. L”Avamposto” per definizione infatti è una postazione avanzata che serve a vigilare le mosse del nemico e a proteggerci da un’unità più arretrata…. ma proteggerci da chi? Da tutti coloro che vogliono illuderci che il mondo va bene, che dobbiamo restare tranquilli ed essere ottimisti, mentre intorno a noi ci sono situazioni drammatiche pronte prima o poi ad esplodere; ecco allora canzoni come “L’Avamposto” che è stata ispirata dal libro “Il deserto dei tartari” di Dino Buzzati o “La battaglia del moscerino” che parla dell’uomo “piccolo” che deve fare i salti mortali per poter arrivare alla fine del mese, oppure “Con i piedi nel fango” titolo preso in prestito dall’amico poeta giapponese Nanao Sakaki che sembra quasi una profezia su quanto accaduto in Giappone (questa canzone infatti è del 2010…). Chiaramente ho voluto porre all’attenzione del pubblico il mio Avamposto affinché ne possano nascere tanti altri con l’obiettivo comune di una ricerca vera, tesa all’esaltazione di valori condivisi quali il rispetto, la pace, l’amore e la solidarietà, la responsabilità, che si sentono sulla bocca di molti e nella pratica di pochi.
Non è la tua prima esperienza editoriale visto che nel 2007 era uscito “In viaggio”, un altro libro+CD e ancor prima, nel 2003 un altro libro; più lontana nel tempo è invece la tua prima esperienza come cantautore (metà anni Novanta) e se a questo aggiungiamo la tua regia ad un videoclip di Alberto Fortis così come una serie di corti da te realizzati e presentati in alcuni festival importanti, abbiamo il quadro di un artista a tutto tondo. Qual è il filo conduttore che unisce queste tue attività?
Il filo conduttore credo che sia quello dell’anima, il tipo di arte scelta è solo un mezzo; certe cose riesco ad esprimerle meglio con le immagini, altre con le parole, altre ancora con la musica e così via. Comunque dalla Home Page del mio sito ufficiale si evince che sono un Cantascrittore, perché così effettivamente mi sento e dagli esordi (2000) ad oggi ho pubblicato tre Cd sempre accompagnati da un libro. Questa è la mia caratteristica, perché nella canzone non riesco ad esprimere fino in fondo quello che ho dentro ed in più mi sento quasi un filologo delle mie canzoni e cerco sempre di capire da dove queste sono arrivate e dove vogliono dirigersi. Chiaramente mi esprimo attraverso racconti, brevi saggi, aneddoti, senza pretese di essere lo scrittore classico che sta nell’immaginario delle persone. La frequentazione del mondo della poesia invece credo derivi dalla scuola elementare quando la nostra maestra (unica), che prediligeva l’italiano, ci piegava la schiena con poesie di Ungaretti, Montale, Pascoli, Leopardi… e forse anche da grande sono sempre stato attratto ed affascinato da questo mondo. Non ho mai scritto poesie ma ho avuto la fortuna ed il piacere di collaborare con poeti anche piuttosto famosi del calibro di Mario Luzi, Gary Snyder, Gary Lawless… che chiaramente attraverso l’utilizzo del loro linguaggio hanno impreziosito certe mie canzoni, donando loro un valore aggiunto. L’approccio verso il video invece è molto istintivo ed amatoriale e deriva dall’altra mia grande passione che è il cinema. Il video per Alberto Fortis è piuttosto casuale ed è nato dal fatto che un giorno ci siamo trovati in una location abbastanza particolare che era alle pendici dell’albero di Natale più grande del mondo che si trova a Gubbio e lui mi ha detto che sarebbe stato fantastico ambientarci il video della sua canzone “Avalon” e così mi sono adoperato per assecondare questo suo desiderio. Alberto inoltre ha tenuto a battesimo il mio ultimo lavoro “L’Avamposto” ed è una persona estremamente gentile e se anche non ci vediamo spesso ogni tanto ci “messaggiamo” perché c’è tra di noi un rispetto e stima reciproca.
Negli anni molti sono stati gli incontri importanti che hanno segnato la tua crescita artistica. Quali ritieni i più significativi e come sono maturati?
Da un punto di vista artistico mi sento un vero privilegiato perché ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada tante persone che mi hanno sostenuto e dato la forza per portare avanti questo duro e difficile “mestiere”. Se penso al 1997 quando sono stato premiato a Cant’Autori di Silvi Marina da Mario Castelnuovo (di cui possiedo tutti i CD) e di aver suonato dopo il grande Umberto Bindi, che il mio primo libro/CD “Memorie di fine millennio” (2000) - Editrice Zona è stato presentato dal compianto Sergio Endrigo, “In viaggio”(2007) - Editrice Zona presentato da Edoardo De Angelis che ne ha firmato anche la prefazione, Alberto Fortis che come ho già detto ha tenuto a battesimo “L’Avamposto”, mi rendo conto di essere cresciuto in mezzo a mostri sacri della canzone d’autore italiana, che nonostante non abbiano avuto il successo che meritavano, hanno sempre portato avanti con serietà e dignità il loro percorso artistico. I giovani oggi credo abbiano bisogno di riferimenti importanti che non sempre riescono ad avere ed ecco allora l’esaltazione dei reality o di certi personaggi che rappresentano il vuoto più assoluto. Se penso a persone come Mario Luzi di una levatura morale e culturale straordinaria mi commuovo nel ricordo, ad esempio, di quando lui si scusava con me per non aver potuto ascoltare il mio CD ma che lo avrebbe fatto alquanto prima e manteneva la promessa concedendomi poi la sua firma nel brano “Ad un compagno” quando oggi poi ti può capitare di mandare a pseudo-giornalisti il tuo Cd ed alcuni non si degnano nemmeno di ascoltarlo o di rispedire due righe di ringraziamento dicendo almeno di averlo ricevuto. Oppure un Gary Snyder, uno degli ultimi poeti della Beat generation ancora in vita, che contento del mio lavoro fatto su una sua poesia decide di inciderci pure la sua voce, quando un qualsiasi cantante è restio a collaborare o a far aprire il suo concerto ad uno che non è ancora famoso. Faccio questi esempi per far vedere come i parametri della nostra società sono completamente “saltati e sballati”, conta solo l’apparenza, le conoscenze e far parte delle solite “cricche”, se ne sei fuori, sei finito. Grazie a Dio, ho preferito sempre le persone che ho citato all’inizio a quest’ultime e anche se alla soglia dei quarant’anni sono uno sconosciuto al grande pubblico va bene lo stesso, le priorità nella vita sono altre.
Approfondiamo meglio il tuo aspetto musicale parlando quindi del tuo ultimo lavoro. Oltre ad un grande amore per la canzone d’autore, tra gli altri echi di bossanova e di folk traspirano dai tuoi brani. Come scegli gli arrangiamenti?
Io amo la musica in tutte le sue forme ed ascolto molti generi, perché non mi piacciono gli assolutismi. Normalmente tendo a circondarmi di musicisti che la pensano come me e cerano di mettersi a servizio della canzone e non di mettersi in mostra solo per far vedere quanto sono bravi. La bravura consiste nell’entrare con una certa sensibilità nel brano e nel dare l’apporto necessario senza strafare o stravolgere la canzone. Quindi c’è un lavoro collettivo negli arrangiamenti che rispetta quanto detto finora; nell’Avamposto hanno partecipato 16 musicisti ed ognuno si è detto felice e gratificato dell’esperienza fatta e questo mi rende già di per sé felice e mi fa ben sperare per il futuro.
RADIO
CITTA' FUTURA - Bufalo Bill
P.B. : Questo lavoro è formato da dieci brevi capitoli che riportano gli stessi titoli delle canzoni. Non è un romanzo, né una spiegazione delle mie canzoni è una specie di lavoro filologico sulle mie canzoni. Da ascoltatore mi son sempre chiesto chissà come mai tale artista avrà scritto certe canzoni, da dove arrivano. Le canzoni arrivano sicuramente da dei luoghi che nel mio caso spesso sono anche geografici e per questo motivo non potevo che non intitolarlo “In viaggio”.
J.G. : C’è una canzone che mi ha incuriosito molto che si chiama Capo Finisterre e parla di questo luogo dove finisce un viaggio fisico e ne incomincia uno più spirituale che poi è anche il cammino della vita, com’è nata questa canzone?
P.B. : Questa canzone è stata scritta dopo il cammino di Santiago
di Compostela che ho fatto nel 2002 e che non è stato il solo.
Durante gli anni dei viaggi con lo zaino, credo che molti abbiano scoperto
che il vero viaggio è solo quello rispecchiato da un viaggio
interiore. Se non avviene l’avventura parallela, il viaggio esterno
non ci illumina. Invece di guardare sempre avanti è importante
rivolgere lo sguardo anche indietro e chiederci se c’erano dei
bivi storici lungo la strada dove abbiamo preso direzioni sbagliate
ed eventualmente correggere la rotta finchè siamo in tempo.
J.G. : il viaggio, la poetica del confine ma secondo te che cosa spinge
l’uomo a viaggiare?
P.B. : Io credo che ci sia la curiosità, che appunto come dico nel mio libro porta a muoversi, a viaggiare oppure anche a stare in casa viaggiando con la mente. Questa è una caratteristica che si ha fin da piccoli e pian piano con il tempo si rischia di perdere. Sempre nel libro cito una frase di un grande scrittore Tonino Guerra che dice: “Da un momento all’altro dovrò dire a qualcuno che non sto cercando la mia infanzia ma l’infanzia del mondo”. Al mondo esistono anche uomini bambini che grazie alla loro curiosità e sensibilità ci hanno aperto delle vere e proprie finestre sul mondo e su noi stessi.
J.G. : ogni capitolo del tuo
libro inizia con un aforisma sul viaggio; ce né uno di Rajko
Djuric
che così recita: Davanti a noi la terra era incinta, nessuno
osava toccare il suo cuore, nemmeno la rugiada… Davanti a noi
né urlo, né grido, né pianto, né sorriso;
davanti a noi né tomba, né casa.
Questo aforisma introduce la canzone Gitano vagabondo che per molte
persone diventa anche uno stile di vita, che significa per te questa
canzone.
P.B.
: Questa canzone è nata dopo aver visto il film Gadjo Dilo- Lo
straniero pazzo del regista gitano Tony Gatlif. In realtà il
processo è stato lungo e mi è venuto incontro un amico
cantautore Gianfilippo Pascolini che ha mi ha aiutato a sistematizzare
pensieri e musica che erano già in potenza da tempo e aspettavano
un piccolo aiuto per venire alla luce. Nel vedere questo film anche
io mi sono sentito un viaggiatore vagabondo e lo sono ogni qual volta
decido di perdermi in qualcosa con gli occhi aperti allo stupore di
chi non conosce la misura di un confine. Ci sono dei momenti durante
l’anno in cui sento il bisogno di evadere, di andare, anche senza
una meta ben precisa; non so se questo derivi dal desiderio di spezzare
i riti rassicuranti della quotidianità, oppure dalla sete mai
sazia di novità e conoscenza.
Intervista
a Radio BROADCASTITALIA
P.B. : Sì, volentieri è un lavoro nato dopo 7 anni dalla pubblicazione del Cd “Memorie di fine millennio” realizzato insieme al gruppo Tajo Verticale con cui ho suonato per diversi anni, poi il gruppo si è sciolto ed ho intrapreso un percorso cantautorale puro seguendo un mio istinto ed un mio progetto artistico che nel corso degli anni mi ha portato alla realizzazione di questo lavoro.
David: come mai tutto questo tempo e perché questo titolo?
P.B. : il tempo è stato necessario per capire, fare e rielaborare certe esperienze che da una parte erano state sicuramente positive e dall’altra andavano un po’ riviste e corrette alla luce di quello che io volevo essere come cantante e autore delle mie canzoni e non come più membro di un gruppo anche se ero sempre io a comporre le canzoni che comunque prevedevano la compartecipazione di tutti; dall’altra mi trovavo alla fine di un ciclo esistenziale di vita e ne stavo iniziando un altro con tutte le trasformazioni relative connesse come il metter su una famiglia, avere una casa propria, un lavoro più stabile e via discorrendo. Quindi mi sono preso il mio tempo e piano piano ho dato vita a questo progetto che comunque si è costruito negli anni, ed è un lavoro spontaneo senza alcun tipo di forzature.
David: in questo lavoro comunque ci sono ospiti illustri come il poeta Mario Luzi e quello della Beat Gary Snyder, come sono avvenute queste collaborazioni?
P.B : in un modo del tutto spontaneo e naturale come racconto nel mio libro ma adesso non voglio svelare altro perché altrimenti tolgo il gusto della scoperta e della novità ai lettori; posso solo dire che i veri artisti si riconoscono anche dall’umiltà e dal modo in cui si relazionano con gli altri. Due poeti, che hanno attraversato quasi un secolo di vita, sanno leggere oltre le apparenze e non hanno bisogno di costruirsi recinti intorno. A volte mi son trovato a dover interagire con persone mediocri, che di artistico hanno ben poco, che innalzano dinnanzi a sé dei veri e propri steccati.
David: qual è il tuo rapporto con la letteratura e la poesia:
P.B : A me piace molto collaborare con i poeti anche se ritengo che l’arte della canzone e della poesia hanno un’identità propria. Per me sono grandi occasioni di confronto e di crescita è come gettare dei ponti, allargare gli orizzonti. Io non mi considero né un poeta, né un musicista, sono semplicemente uno scrittore di canzoni cioè una persona che, attraverso la sua sensibilità riesce a mettere a fuoco pensieri situazioni che per molto persone sono un po’ sfuggenti o poco chiare. D’altronde la canzone è una forma di comunicazione breve ma assai potente perché racchiude in sé una forte componente emozionale, diventa quasi una comunicazione magica ed il compositore deve assumere le vesti di un buon alchimista che deve saper ben dosare e far coesistere la parte testuale con quella musicale; questo a volte riesce altre volte invece no. E’ chiaro che la poesia ha un valore estetico che spesso la canzone non ha ma d’altronde la canzone può avvalersi dell’aiuto validissimo della musica. Questi confini per certi cantautori sono molto labili ad esempio molte canzoni di De Andrè si reggono anche senza la musica, mentre certe canzoni di altri cantanti bellissime con la musica, con il solo testo possono apparire semplicistiche o addirittura pretestuose. Anche i cantautori italiani hanno attinto dalla poesia e dalla narrativa, basti pensare a Guccini con Gozzano Nell’isola non trovata oppure De Andrè con l’Antologia di Spoon River di Edgard Lee Master, o Branduardi che canta Yates e così via all’infinito.
Intervista
a RTS (Radio Tiber Sound)
Intervista
a Radio Tadino
Intervista
a Umbria Radio